Le tradizioni europee e mediterranee hanno identificato come termini rituali d’inizio e fine dell’anno due momenti diversi dei cicli astronomici e stagionali: l’equinozio di primavera che segna la rinascita della vegetazione, ed il solstizio d’inverno che dà inizio alla rinascita del ciclo solare.
Il capodanno primaverile della natura, celebrato con rituali propiziatori e di ringraziamento per la fertilità rinnovata, è rimasto legato agli usi agricoli, mentre quello invernale, astronomico, ha assunto valore simbolico di soglia tra i mondi fisici e spirituali della luce e dell’ombra, espresso da riti che ne celebrano l’apertura e chiusura.
Giorni e riti di queste ricorrenze antichissime hanno seguito la differenziazione anche geografica delle culture, ma attraverso i loro contatti si sono spesso sovrapposte. Ed è così che nel calendario festivo di tradizione cristiana i rituali del solstizio d’inverno sono disseminati fra i primi di novembre e gennaio, con estensioni sino a febbraio, sotto forma di un ciclo che ne celebra i diversi aspetti simbolici.
Il ciclo festivo tradizionale
Questo nostro ciclo tradizionale inizia a novembre con le feste di tutti i santi e dei morti, che simbolizzano su traccia precristiana il momento dell’apertura della soglia con l’oltremondo, in una comunicazione diretta celebrata con riti di onoranza e commemorazione che includono doni di fiori od altro (inclusi cibi tradizionali come a Trieste le “fave”) alle anime trapassate, e l’accensione di lumini come vincolo col mondo della luce.
Segue il 6 dicembre la celebrazione di due entità spirituali minori, una del bene e l’altra del male, che escono dall’oltremondo per ammonire sui meriti e le colpe dell’anno, distribuendo anche piccoli premi o castighi.
La tradizione mitteleuropea li rappresenta nelle figure di San Nicola e di un diavolo che lo accompagna in questa missione, spesso compensata da una questua di significato espiatorio. In alcuni luoghi l’uso si intreccia con quelli antichissimi della mascherata di spiriti della natura vestiti con pelli, fieno, corna, fronde, campanacci, che possiamo trovare anche in altri momenti del ciclo solstiziale.
Il 25 dicembre il Natale cristiano celebra invece la rinascita simbolica della luce divina nel mondo a beneficio e riscatto universale, anzitutto degli umili e dei perseguitati, ed era occasione simbolica di piccoli doni ai bambini.
Francesco d’Assisi, mistico della semplicità e della creazione, ne ideò la rappresentazione col presepe, e la tradizione mitteleuropea vi ha aggiunto l’abete, simbolo precristiano di forza vitale perché d’inverno conserva le foglie verdi.
Queste tre feste esauriscono gli aspetti sacrali del solstizio lasciando al capodanno calendariale del 31 dicembre un carattere di festa profana e gaudente, cui la tradizione mitteleuropea assegna tuttavìa il simbolo vitale del vischio d’abete, che d’inverno oltre a mantenersi anch’esso verde mostra le piccole bacche chiare.
Il ciclo tradizionale si conclude il 6 gennaio con l’Epifanìa cristiana, che simbolizza il riconoscimento da parte dei depositari delle scienze, i tre re Maghi (màgoi) venuti dall’Oriente guidati da una stella (simbolo delle armonìe cosmiche), della manifestazione terrena (epiphanéia) dell’Amore (charitas) divino come legge universale. La ricorrenza è spesso accompagnata dalla questua di buon auspicio dei bambini che impersonano i tre re.
Sempre nella tradizione mitteleuropea si usa inoltre tracciare ogni anno sugli ingressi degli edifici le iniziali protettive C.M.B. dei nomi attribuiti ai re (Caspar, Melchior, Bathazar) e della formula Christus Mansionem Benedicat (Cristo benedica la casa) accompagnati da croci.
Un ultimo riflesso delle feste del solstizio d’inverno si ha tra febbraio e marzo – prima dell’inizio del ciclo primaverile nella Pasqua cristiana – in alcune forme antiche del carnevale, festa che sovrappone una quantità di tradizioni diverse, dove possiamo ritrovare la mascherata degli spiriti della natura associata al un tempo di sospensione o inversione delle regole sociali, che interpretava anch’esso l’irruzione solstiziale dell’oltremondo (presente anche in alcuni antichi riti misterici).
Le banalizzazioni consumiste moderne
Le celebrazioni tradizionali del solstizio d’inverno, come altre del ciclo annuale, sono un patrimonio culturale e spirituale prezioso perché rinnovano anche in chiave simbolica cristiana la percezione del sacro, antica come l’umanità, nella scansione dei cicli naturali. Cioè una sensibilità essenziale profonda la cui attenuazione ha conseguenze devastanti sia per la nostra vita interiore che per i nostri comportamenti verso l’ambiente naturale e gli altri viventi.
Le banalizzazioni consumiste di queste ricorrenze non sono quindi semplici divertimenti giocosi, bonari ed innocui, perché soffocano quei significati e valori in un vortice di stimoli materiali sterili ed agganciati a pseudotradizioni commerciali, trasmettendone gli antivalori anche ai bambini.
La pseudotradizione più distruttiva è quella di Babbo Natale-Santa Claus, invenzione commerciale che sta soffocando le atmosfere ed i significati spirituali del Natale cristiano con una mascherata consumista sempre più esasperata e grottesca.
Si tratta di una figura recente, generata negli Stati Uniti dalla sovrapposizione del San Nicola e dell’albero di natale degli immigranti mitteleuropei col Ded Morož (Nonno o babbo Gelo, uno spirito invernale) degli immigrati russi ed est europei, con le tradizioni anglosassoni e nordeuropee su gnomi e folletti e con le logiche commerciali del profitto.
Ne è sorto una specie di culto infantile neopagano del consumo di regali, che dopo la seconda guerra mondiale si è diffuso con i fumetti di Walt Disney e le pubblicità della Coca Cola in tutto il mondo, tranne che nei Paesi comunisti dell’Europa centro-orientale dove si adottarono versioni parallele del Nonno Gelo russo per sostituire il Natale cristiano e trasferirne al capodanno festa e doni.
La sua fine con quei regimi non ha inoltre segnato il ritorno del Natale, ma la vittoria globale del concorrente americano in un’orgia natalizia crescente di sprechi. La diffusione globale di questo Natale consumistico confligge inoltre con le tradizioni non cristiane, in particolare islamiche, ebraiche e buddiste.
Molto più problematica di quanto sembri è anche la recente diffusione consumista pseudotradizionale di Halloween, che dal Nordamerica ha banalizzato ed esteso in tutto il mondo tradizioni già celtiche del culto solstiziale degli spiriti e dei morti. Riducendole a mascherata orrorifica di bambini ed adulti, che sotto specie di divertimento pittoresco diffonde un messaggio sostanziale di indifferenza al male (che si innesta sul filone suggestivo permanente degli spettacoli di orrore e violenza accessibili anche ai bambini).
Banalizzazione tipicamente italiana – venne diffusa come tale dal regime fascista – è invece quella che sovrappone ai significati dell’Epifanìa cristiana, distorcendone il nome, la figura della “Befana” dispensatrice di doni.
Il personaggio è stato ricavato da una versione appenninica di uno spirito invernale femminile di tradizione celta e germanica (Holda-Berchta) e slava (Zima-staruha), raffigurandola secondo l’iconografia popolare delle streghe e facendone una nuova pseudotradizione commerciale.
Alle tradizioni europee del capodanno è stata invece sovrapposta una versione consumista profana ed esasperata dell’antico uso rituale cinese di petardi e fuochi d’artificio per far fuggire i démoni dell’anno passato.
Mentre il carnevale tradizionale, spontaneo, popolano e legato ad usi locali antichi, è stato sempre più commercializzato ed appiattito culturalmente su modelli globali sostanzialmente consumistici, di ostentazione banale e satira politica.
Il tutto conferma l’opportunità di fermarsi a riflettere su queste trappole consumiste per capire se davvero sia il caso di continuare a subirle. O piuttosto di ritornare all’essenza ed alle atmosfere delle nostre sobrie feste d’inverno della tradizione etnica e religiosa autentica.
Molti di noi ne conservano ricordi indelebili, ed anche la più profana e chiassosa, come il capodanno, può assumere profondità nuove, ad esempio, nella semplice tranquillità notturna dei boschi, dei prati e delle acque, o di un qualsiasi altro frammento di mondo sotto l’immensità notturna del cielo stellato.
Paolo G. Parovel