Il Corriere di Trieste

Trieste: dossier d’indagine sulle richieste di fondi europei del Comune per la frode del “porto vecchio”.

Trieste: dossier d’indagine sulle richieste di fondi europei del Comune per la frode del “porto vecchio”.

Trieste: dossier d'indagine sulle richieste di fondi europei del Comune per la frode del “porto vecchio”.

Trieste – Porto Franco Nord | Northern Free Port.

Indagine di Paolo G. Parovel

Trieste, 5 ottobre 2024. – La Law Commission dell’Agenzia “International Provisional Representative of the Free Territory of Trieste – I.P.R. F.T.T.” ha deciso di desecretare, nel pubblico interesse, un proprio dossier d’indagine riservato, con allegati, per fare chiarezza sull’intera questione dei 112 milioni di euro di fondi europei del PNRR – Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza italiano che il Comune di Trieste ha chiesto per finanziare opere illegittime.

Sull’argomento vi è infatti una confusione generale tra i politici, nell’opinione pubblica e sui mass media, perché quasi nessuno l’ha studiato davvero, e questa situazione di sostanziale ignoranza dei fatti reali viene sfruttata per diffondere disinformazioni e pregiudizi che favoriscono i responsabili delle violazioni di legge travisando i fatti e nascondendone i retroscena peggiori.

Noi siamo invece convinti che la diffusione della verità sia un valore fondamentale della democrazia e del rispetto delle persone, perché la conoscenza dei fatti è la condizione primaria della vera libertà d’opinione e di coscienza.

La I.P.R. F.T.T. (LINK) è un’agenzia costituita del 2015 su iniziativa dell’Organizzazione politica non-elettorale Movimento Trieste Libera (LINK) per rappresentare e difendere in ogni sede istituzionale, diplomatica e giudiziaria i diritti e gli interessi legittimi di cittadini di diritto, di residenti, di imprese e di organizzazioni dell’attuale Free Territory of Trieste e di altri Stati.

Per assolvere a questi compiti, la I.P.R. F.T.T. svolge intense attività di iniziativa legale, studio, ricerca ed informazione pubblica e riservata. Esercita inoltre il ruolo di soggetto internazionale attivando iniziative e contenziosi legali nei confronti del Governo italiano amministratore, di suoi Ministeri, enti ed Agenzie, di organizzazioni internazionali, e di organi dell’Unione Europea.

Nel caso in esame il dossier d’indagine riservato del 10 maggio 2023 che la I.P.R. F.T.T. ha ora reso pubblico in lingua italiana sul suo sito internet serve a fare chiarezza altrimenti impossibile, perché è l’unica analisi reperibile che individua accuratamente i fatti essenziali, le violazioni di legge ed i loro aspetti più preoccupanti e nascosti, affinché vi si possa porre fine.

Riteniamo perciò doveroso portare le informazioni del dossier a conoscenza dei nostri lettori, dei colleghi giornalisti e dei politici di buona volontà, ma anche all’attenzione delle Autorità di Governo e degli organi investigativi e giudiziari che hanno l’obbligo giuridico di impedire il protrarsi a Trieste di una situazione di pubblica illegalità che non ha precedenti per la gravità dei fatti, le implicazioni internazionali e l’entità dei danni.

Con questo nostro articolo d’inchiesta vogliamo delineare contemporaneamente la struttura complessiva dell’intera frode che ha condotto anche alla richiesta di finanziamenti europei. Chi è stato ingannato ha il diritto di sapere in che modo, e da chi.

Come noto, la discussa Amministrazione comunale di Trieste del sindaco Roberto Dipiazza ha chiesto oltre 140 milioni di euro di finanziamenti comunitari europei del programma NGEU – Next Generation EU attraverso il PNRR. Ma la parte destinata a scuole ed altre opere pubbliche necessarie e legittime è minima.

Dei finanziamenti richiesti, 112 milioni di euro (pari all’80%) riguardano infatti opere che il Sindaco Dipiazza e la sua Giunta vogliono realizzare su aree del cosiddetto “porto vecchio” dichiarando falsamente che il Comune ne ha ricevuto con norme inserite nella Legge 190/2014 un titolo di proprietà piena ed incondizionata, che dunque gli consentirebbe di disporne come vuole.

Quella legge gli consente invece soltanto di decidere la destinazione urbanistica di quei beni, e lo obbliga a venderli tutti con procedura d’asta europea ed a versare l’intero ricavato all’Autorità Portuale, che lo può e deve reinvestire soltanto nello sviluppo del Porto Franco internazionale di Trieste.

Ogni diverso atto di disposizione e di spesa del Comune di Trieste su quei beni è perciò compiuto in violazione assoluta di legge, e come tale non può essere oggetto di finanziamento pubblico ordinario (che costituirebbe danno erariale) e non può nemmeno ricevere finanziamenti comunitari europei.

Per questi motivi è illegittimo anche il concorso amministrativo e finanziario, attivo o passivo, in dette attività illegali del Comune di Trieste, da parte di ogni altro ente pubblico, ed in particolare dell’Autorità Portuale, della Regione Friuli Venezia Giulia, del Governo italiano e di suoi Ministeri ed Agenzie.

Sull’eseguibilità delle norme della Legge 190/2014 e sulla proprietà di quei beni portuali è inoltre in corso un contenzioso legale aperto a più livelli dalla stessa I.P.R. F.T.T. per violazione di disposizioni vigenti e prevalenti del Trattato di Pace multilaterale con l’Italia del 10 febbraio 1947.

Sono le disposizioni del Trattato di Pace che istituiscono il Porto Franco internazionale di Trieste, di cui il cosiddetto “porto vecchio” è in realtà il Porto Franco Nord, uno dei due grandi punti franchi permanenti, perciò inalienabili e soggetti a diritti di tutti gli Stati. Il Trattato consente di ampliarli secondo necessità, ma non di ridurli o spostarli. Sono dotati ambedue di scali ferroviari efficienti, collegati tra loro ed alla rete italiana ed europea.

Le nostre inchieste giornalistiche hanno già dimostrato e denunciato da tempo che la “sdemanializzazione del porto vecchio” prevista da quelle norme introdotte surrettiziamente nella legge italiana di bilancio 190/2014 è una frode pubblica colossale, preparata con anni di operazioni amministrative e mediatiche ingannevoli per far credere falsamente all’opinione pubblica che sia un “porto vecchio” divenuto inutilizzabile, e pretenderne l’urbanizzazione e la vendita.

Una frode pubblica organizzata o comunque avallata da politici, speculatori e pubblici ufficiali, con la quale è stata gradualmente paralizzata la metà settentrionale del Porto Franco internazionale di Trieste, bloccandone sviluppi da oltre 10.000 nuovi posti di lavoro diretto, più quello indotto.

Una frode compiuta violando spudoratamente, oltre alla legge, la fede pubblica, ed in particolare quella della popolazione di Trieste, per presentare come un “recupero urbano” vantaggioso quello che è invece la distruzione di metà di un Porto Franco internazionale: un danno economico assurdo e così enorme da essere addirittura incalcolabile.

Rimangono da accertare soltanto, e non spetta a noi giornalisti d’inchiesta, le responsabilità penali, civili, erariali ed amministrative di tutti i pubblici ufficiali che avendo l’obbligo giuridico di far rispettare le leggi ed i diritti anche impedendo questa frode, non l’hanno sinora impedita, o l’hanno addirittura avallata in forma attiva o passiva.

In sostanza, è stata un’operazione politico-amministrativa fraudolenta di lento abbandono e svuotamento graduale del Porto Franco Nord, eseguita in violazione deliberata degli obblighi di mantenere il Porto Franco internazionale secondo le disposizioni del Trattato di Pace.

Obblighi che il Governo italiano ha assunto dal 1954 accettando il vigente mandato fiduciario speciale di amministrazione civile provvisoria dell’attuale Free Territory di Trieste, che confina dal 1947 con l’Italia e dal 1992 con la Slovenia.

Sul suo status giuridico si veda la rassegna normativa sistematica elaborata dalla Law Commission della I.P.R. F.T.T. (LINK).

Con quell’operazione di svuotamento illegale sono stati anche omessi gli interventi di bonifica del terrapieno portuale verso Barcola, pesantemente inquinato, e la sua trasformazione in una nuova grande piattaforma logistica su fondali da 18-20 metri, prevista con DPR n. 714/1978.

La necessità sempre più urgente di quella nuova piattaforma logistica per ampliare il Porto Franco Nord è stata sottolineata anche da progetti ed analisi pubblicati nel 1999 dall’Associazione degli Spedizionieri del Porto di Trieste, che rilevano come sia necessario l’utilizzo di ogni spazio possibile per lo sviluppo di nuovi moli e banchine.

Quei pareri tecnici dell’ASPT-ASTRA confermavano già allora che l’operazione di urbanizzazione del Porto Franco Nord, oltre a violare quegli obblighi internazionali era ed è economicamente insensata perché arreca danni gravissimi allo sviluppo del porto e dell’economia di Trieste.

Sembra quindi evidente che l’imposizione di quella scelta insensata possa trovare spiegazione soltanto in progetti di speculazione immobiliare illecita e negli interessi di porti concorrenti, ed in particolare, ma non soltanto, di Genova e Livorno.

Rimanendo ovviamente da spiegare i motivi dell’abnorme connivenza passiva ed attiva di quelle che dovrebbero essere la classe dirigente di Trieste e le sue istituzioni pubbliche garanti della legalità e della pubblica fede.

Quanto alla natura vincolante degli obblighi internazionali di mantenere il Porto Franco Nord in esecuzione delle disposizioni del Trattato di Pace, l’aveva ribadita il 7 gennaio 2010 lo stesso Governo italiano Berlusconi con una lettera ufficiale del Ministro degli Esteri Franco Frattini all’allora Prefetto di Trieste Giovanni Balsamo, pressato dai fautori dell’urbanizzazione illegale.

Ma la diffida del Ministro degli Esteri non ha impedito che a Trieste, cambiato il Prefetto nel novembre 2010 la concessione del Porto Franco Nord venisse assegnata ad una società costituita per urbanizzarlo illegalmente, la “Portocittà” guidata da Enrico Maltauro.

Il 5 novembre 2008 il Sindaco Dipiazza aveva turbato quella gara di concessione minacciando pubblicamente che se fosse stata vinta dal legittimo progetto tecnico di riattivazione portuale completa presentato dagli spedizionieri di ASPT-ASTRA, lui avrebbe usato i poteri del Comune per bloccare gli accessi stradali al Porto Franco Nord, impedendo il transito delle merci, ed intimando «Quella zona non sarà mai più porto».

Ma il 3 dicembre 2010 il Presidente dell’Autorità Portuale che aveva assegnato la concessione a Portocittà, il triestino Claudio Boniciolli, uomo del PD, dichiarava tranquillamente alla stampa «Spero che a succedermi sia il Sindaco Dipiazza, con il quale ho ben collaborato su Piano Regolatore e Porto Vecchio».

Nel 2011 il Governo Berlusconi aveva invece nominato Presidente dell’Autorità Portuale di Trieste Marina Monassi, funzionaria italiana capace e competente che si era impegnata per la piena riattivazione del Porto Franco Nord chiesta dagli spedizionieri, e per questo venne fatta oggetto durante tutti e quattro gli anni di mandato (gennaio 2011 – febbraio 2015) di una feroce campagna di boicottaggio e diffamazione da parte del quotidiano locale, appartenente al gruppo Espresso-Repubblica controllato politicamente dal PD (LINK).

Il 1° marzo 2013 Maltauro aveva impugnato davanti al Tribunale Amministrativo Regionale – TAR l’ineseguibilità della concessione per violazione di obblighi internazionali (LINK). Ma pretese egualmente, sotto minaccia di penali milionarie, che venisse eseguita con la consegna dell’intero Porto Franco Nord (tranne l’Adriateminal) previo sgombero forzoso di tutte le attività le imprese ed i servizi che ancora vi operavano.

In concreto, Maltauro rinunciò alla concessione solo dopo averla usata per ottenere la desertificazione completa del Porto Franco Nord, e poco prima della notizia del suo arresto per le tangenti dell’Expo di Milano (LINK).

Nel frattempo, il TAR aveva provveduto ad appoggiare l’urbanizzazione illecita dell’area rigettando il ricorso di Maltauro con una sentenza palesemente surrettizia (n. 400/2013) che pur adottando note false tesi politiche in materia di sovranità, dichiara che «il porto franco di Trieste costituisce un obbligo internazionale vincolante per l’Italia» ma ne travisa radicalmente le norme vincolanti teorizzando una inesistente «elasticità normativa e territoriale» che fornirebbe «la possibilità […] non solo di sospendere, ampliare, spostare ma anche di ridurre con atti amministrativi lo stesso ambito territoriale del Porto franco di Trieste, o addirittura la doverosità di tale riduzione, in caso in cui le pur consentite attività riferite alla portualità allargata divenissero esclusive ed escludenti».

Questa sentenza perciò ingannevole venne celebrata politicamente come fosse risolutiva, benché sia soltanto una sentenza amministrativa di rigetto, che come tale non fa giurisprudenza perché non annulla l’atto impugnato, che può essere perciò impugnato nuovamente davanti a un altro tribunale amministrativo ottenendo un’altra sentenza del tutto diversa.

Dopo avere convocato a Trieste con successo nel luglio 2013 il Convegno mondiale dei porti e delle zone franche organizzato dalla World Free Zone Convention di Londra, la Presidente dell’Autorità Portuale Marina Monassi nel febbraio 2014 ha aperto un bando di concessione per riattivare il Porto Franco Nord, accogliendo in giugno otto domande che coprivano il 50% delle aree disponibili ed avviando nuovi contatti per il rimanente con altri investitori.

I sostenitori dell’urbanizzazione illegale hanno reagito mobilitando i loro referenti nel PD, che all’epoca controllava l’intera catena di comando politico, da Trieste a Roma, attraverso il Comune (sindaco Roberto Cosolini), la Regione (Presidente Debora Serracchiani) ed il Governo (Presidente del Consiglio Matteo Renzi), e due parlamentari triestini: il senatore Francesco Russo ed il discusso deputato Ettore Rosato, capogruppo del PD alla Camera (autore della famigerata legge elettorale 2017 detta perciò “Rosatellum”).

Così anche l’approvazione delle norme di “sdemanializzazione” inserite nella Legge 190/2014 è stata ottenuta con una frode, ma nei confronti del Parlamento italiano, che le aveva ripetutamente dichiarate inammissibili. E la lettera del Ministro Frattini al Prefetto Balsamo ne aveva anche chiarito il perché.

Nel dicembre 2014 i due parlamentari di maggioranza, Russo e Rosato, con l’assenso di Renzi forzarono l’approvazione senza discussione di quelle norme inammissibili inserendole tra gli emendamenti del Governo alla legge di bilancio dello Stato, ottenendone l’approvazione in blocco con il voto di fiducia al Governo stesso.

L’allora capogruppo della Lega alla Camera, Massimiliano Fedriga li accusò in aula di aver agito  «Come ladri di notte…» e denunciò la violazione di obblighi internazionali prevalenti. E pochi giorni dopo, a Trieste, l’allora senatore Russo si vantò in conferenza stampa dell’operazione fraudolenta dichiarando arrogante che «La prassi anche in diritto, supera la legge». Ma la  gerarchia delle fonti del diritto dice l’esatto contrario.

Le norme così introdotte fraudolentemente nella Legge 190/2014 prevedono lo “spostamento” (ad aree non portuali) del regime di porto franco internazionale dalle infrastrutture terrestri del Porto Franco Nord (aree scoperte, magazzini, scalo ferroviario) destinandole all’urbanizzazione e alla vendita.

Ma lo conservano sulle sue infrastrutture marittime (dighe, moli, banchine, una strettissima fascia costiera, più l’Adriaterminal) che rimarrebbero così intercluse da proprietà private. È quindi evidente che questa formula si presta a vari generi di speculazione illecita.

Il secondo imbroglio consiste nel nascondere che per legge italiana vigente e prevalente (art. 2 DlgsCPS 1430/1947 ratificato con L. 3054/1952) tutti i provvedimenti comunque riguardanti l’esecuzione del Trattato di Pace devono venire assunti con decreto del Presidente della Repubblica, e non sono perciò di competenza del Parlamento.

Il terzo imbroglio è nascondere che, per effetto della stessa norma e degli artt. 10 primo comma, 117 primo e quinto comma della Costituzione nella gerarchia delle fonti del diritto italiano, tutti i provvedimenti di esecuzione del Trattato di Pace hanno prevalenza pre-costituzionale e costituzionale sulle altre leggi in vigore.

Le norme inserite nella legge di bilancio 190/2014 per sdemanializzare ed urbanizzare il Porto Franco Nord risultavano e risultano perciò vigenti, ma giuridicamente ineseguibili per conflitto con norme di diritto internazionale vigenti e prevalenti nello stesso ordinamento italiano.

Ma l’approvazione fraudolenta delle norme di sdemanializzazione illegale bloccò anche le nuove concessioni legittime organizzate dalla Presidente Marina Monassi, ed il PD completò l’operazione sostituendola con un funzionario disposto a collaborare all’urbanizzazione illegale del Porto Franco Nord, Zeno D’Agostino.

In realtà il Parlamento italiano ha poi provveduto nel 2017 a consolidare elegantemente in legge l’ineseguibilità delle norme della Legge 190/2014 sulla sdemanializzazione e vendita del cosiddetto “porto vecchio” di Trieste, introducendovi una modifica che le subordina espressamente all’esecuzione delle norme del vigente Trattato di Pace, cioè delle norme prevalenti che non consentono di ridurre o spostare i punti franchi permanenti del Porto Franco internazionale di Trieste, ma soltanto di ampliarli.

A Trieste si è invece proseguito egualmente con la sdemanializzazione, commettendo così violazioni ulteriori della stessa legge così modificata.

Ed è frutto e fonte di frode ulteriore anche l’iscrizione tavolare sul Libro Fondiario di Trieste della proprietà dei beni del cosiddetto “porto vecchio” al nome del Comune, chiesta dal Sindaco PD Roberto Cosolini ed eseguita dal Tribunale nel 2016 nonostante opposizione legale perfettamente motivata della I.P.R. F.T.T.

I giudici incaricati hanno infatti eseguito la procedura in violazione della stessa Legge Tavolare, omettendo non solo l’accertamento doveroso delle norme ostative prevalenti del vigente Trattato di Pace e dei diritti che esso costituisce a favore di tutti gli Stati, ma anche l’iscrizione tavolare, necessaria a tutela della pubblica fede dei limiti vincolanti che la stessa Legge 190/2014 impone comunque al potere di disposizione del Comune su quei beni.

Il risultato è un’iscrizione tavolare ingannevole, che il Tribunale ha anche rifiutato più volte di correggere, che consente al Comune di abusarne dal 2016 per simulare di avere ottenuta la proprietà piena ed incondizionata di quei beni portuali, cioè il potere di disporne liberamente, dichiarando a questo scopo il falso in atti pubblici: deliberazioni, contratti, concessioni e bandi di gara.

Riassumendo i fatti, ci troviamo dunque di fronte a due livelli principali di frode, primario e secondario.

La frode primaria, interamente gestita dal PD, è costituita da una serie continua di operazioni amministrative illecite e mediatiche falsarie organizzate per anni allo scopo di urbanizzare il Porto Franco Nord impedendone la riattivazione legittima, culminata con l’inserimento truffaldino delle norme Russo-Rosato-Renzi nella L. 190/2014.

La frode secondaria è una frode nella frode, poiché consiste nell’iscrizione ingannevole dei beni sul Libro Fondiario, chiesta ed ottenuta dallo stesso PD (Amministrazione comunale Cosolini) e poi sfruttata dall’Amministrazione comunale Dipiazza per occupare temerariamente l’area con opere in aperta violazione sia dei limiti posti al potere di disposizione del Comune dalle stesse norme della L. 190/2014, sia dai normali limiti di prudenza della pubblica amministrazione.

E questo groviglio di illeciti ed azzardi dell’Amministrazione Dipiazza si regge da anni sul comportamento anomalo di tutti i politici del PD, che dall’opposizione non ne hanno mai voluto denunciare le violazioni di legge, che si fondano su operazioni del loro stesso partito. Mentre i soli provvedimenti di richiamo alla legge e di esecuzione degli obblighi internazionali risultano venuti da tecnici competenti e affidabili (Frattini, Monassi) scelti dai Governi dell’imprenditore Silvio Berlusconi.

Quindi è ancora più assurdo che Francesco Russo e Debora Serracchiani abbiano presentato e continuino a presentare l’imbroglio sulla Legge 190/2014 come un loro merito di “riscoperta” e addirittura “rilancio” del Porto Franco internazionale di Trieste.

Le nostre inchieste hanno già denunciato ripetutamente anche l’evidenza del fatto che la continuità nel tempo e le coperture istituzionali, politiche e mediatiche trasversali, attive e passive, che sono necessarie per compiere impunemente una frode di questo genere e di tale entità e durata, possono essere garantite soltanto da un “sistema” di corruzione delle istituzioni capace di condizionarle.

Cioè da un sistema non palese di relazioni trasversali capace di svolgere attività di interferenza sull’esercizio delle funzioni di organi costituzionali, di amministrazioni pubbliche e di enti pubblici in violazione dell’art. 1 della Legge italiana n. 17/1982.

Il dossier d’indagine ora desecretato dalla I.P.R. F.T.T. Law Commission precisa opportunamente che nel caso di Trieste il concetto di “corruzione delle istituzioni” si deve intendere riferito alla sola constatazione del fatto obiettivo che istituzioni pubbliche titolari come tali dell’obbligo giuridico di impedire le violazioni della legge non le impediscano, o addirittura le compiano o vi concorrano in qualsiasi modo, e ciò a prescindere dai motivi, che possono essere anche di errore in buona fede o di inganno da parte di terzi.

Tale significato, che noi condividiamo, del concetto di corruzione delle istituzioni non indica perciò né implica o suggerisce l’esistenza di corruzioni personali dei responsabili di quelle istituzioni, ma la semplice constatazione obiettiva del fatto oggettivo che esse violano con azioni od omissioni  i propri doveri di tutela della legalità.

Non si può comunque ritenere che i responsabili e gli esecutori della frode sul “porto vecchio” non si rendano conto che le azioni legali della I.P.R. F.T.T. sono perfettamente fondate in fatto e diritto, coinvolgono gli interessi di altri Stati, e che per questi motivi anche il rifiuto di giustizia sinora opposto da settori della magistratura italiana potrà essere facilmente capovolto a livello internazionale e comunitario europeo.

La strategìa dell’Amministrazione comunale Dipiazza consiste perciò nello sfruttare le proprie impunità locali anomale per tentare di imporre sulla legge il fatto compiuto occupando fisicamente o contrattualmente il “porto vecchio” con nuove opere, e tentando di coinvolgere nella frode un numero crescente di terzi di presumibile buona fede: professionisti, imprese nazionali ed estere, finanziatori, banche, enti pubblici, ministeri italiani ed infine l’Unione Europea con finanziamenti NGEU-PNRR.

Nel 2017 l’Amministrazione comunale Dipiazza si è persino impadronita direttamente di alcuni edifici principali dell’area già restaurati dall’Autorità Portuale, incluso l’enorme Magazzino 26, con una delibera di Giunta che ne decide l’assegnazione al demanio indisponibile del Comune dichiarando falsamente che la Legge 190/2014 è cambiata.

L’asserito mutamento di status giuridico di quei beni non risulta iscritto sul Libro Fondiario perché quella delibera abnorme è ovviamente inefficace, dato che la Legge 190/2014 non era cambiata, ed un Comune non può cambiarla, ma l’Amministrazione Dipiazza continua a simularlo per stipulare locazioni e concessioni perciò illegittime ad enti, fondazioni ed associazioni.

Nel 2018-2019 l’Amministrazione comunale Dipiazza ha organizzato con pretesti la costruzione illegittima di un nuovo centro congressi nel c.d. “porto vecchio”, a ridosso del terrapieno inquinato verso Barcola, con la procedura pubblico-privata del project financing, ed opere edili per 11,7 milioni di euro dei quali 4,5 milioni a peso del Comune, “compensati” da un affitto annuo di soli 80.000 euro, dei quali 5.000 in denaro ed il resto in giornate di utilizzo (LINK).

Ed anche quest’operazione contro legge e deficitaria è stata consolidata con un atto pubblico fraudolento: un contratto di cessione ventennale di diritti di superficie all’apposita Trieste Convention Center (TCC) S.r.l., ora S.p.A. nel quale l’Amministrazione Dipiazza dichiara falsamente di avere la piena ed incondizionata disponibilità delle aree e che la cessione è conforme alle disposizioni della Legge 190/2014 (LINK).

Nel 2021 l’amministrazione comunale del sindaco Dipiazza ha anche coinvolto l’Autorità Portuale (Presidente Zeno d’Agostino) e l’Amministrazione regionale (Presidente Massimiliano Fedriga) nella costituzione di un consorzio, denominato “URSUS”, per gestire tutta l’area in aperta violazione degli obblighi di vendita e di destinazione del ricavato.

Su queste basi perciò illegali, tra dicembre 2021 e gennaio 2023 l’Amministrazione comunale Dipiazza ha venduto all’Amministrazione Regionale Fedriga un intero complesso di magazzini del “porto vecchio” perché vi trasferisca quasi tutti gli uffici della Regione con un progetto da 160 milioni di euro, avviato in perdita prevista di almeno 67 milioni di euro (pari al 42%). Ma la vendita è avvenuta anche in plurima violazione di legge perché compiuta a trattativa diretta invece che con asta europea, ed il passaggio di proprietà è ora impugnato anch’esso dalla I.P.R. F.T.T. con Reclamo Tavolare davanti al Tribunale di Trieste.

Rimane sempre da comprendere come e perché queste operazioni del Comune in aperta violazione della Legge 190/2014 siano state appoggiate, invece che impedite, anche dal Presidente dell’Autorità Portuale, Zeno D’Agostino, che aveva l’obbligo giuridico di esigere dal Comune che ne rispettasse gli obblighi di vendita all’asta e di versamento del ricavato, e dal Presidente regionale Massimiliano Fedriga, che in Parlamento ne aveva invece denunciata l’approvazione come inammissibile e fraudolenta.

Sul tutto continuano comunque a pendere le numerose azioni legali a vario livello della I.P.R. F.T.T. per ottenere il rispetto della legge, appoggiate anche dagli interventi in giudizio di un numero senza precedenti di cittadini ed imprese di Trieste e di altri Stati.

E questo spiega la fretta frenetica e l’arroganza aggressiva spesso grossolana con cui il Sindaco Roberto Dipiazza tenta di imporre al Consiglio comunale ed alla città qualsiasi opera o contratto che possa servire ad occupare comunque le aree del cosiddetto “porto vecchio”.

La stessa fretta spiega anche l’imprudenza economica abnorme con cui per opere illegittime nel “porto vecchio” l’Amministrazione comunale Dipiazza non ne ha nemmeno attesa la copertura finanziaria per anticipare la spesa di somme rilevantissime di denaro pubblico in progettazioni, consulenze, attività promozionali, attrezzature e quant’altro, anticipando persino le gare d’appalto per l’esecuzione delle opere.

Azzardi, questi, che col denaro pubblico non sono consentiti, e sollevano anche un interrogativo ovvio sulla vigilanza della Corte dei Conti. Ma su questo argomento il giornalista può soltanto osservare che il Sindaco Dipiazza ha creato sicuramente degli imbarazzi affidando sino al 2021 la regìa degli interventi nel “porto vecchio” ad un funzionario dirigente di sua fiducia che era anche il consorte della Procuratrice Regionale della Corte dei Conti.

Le anticipazioni operative e finanziarie azzardate riguardano anche il più aggressivo dei tre progetti illegittimi per i quali il Sindaco Dipiazza ha chiesto finanziamenti europei dal PNRR: un’assurda cabinovia da 61 milioni di euro tra il “porto vecchio” e l’altopiano carsico, dove il Comune ha già invaso illegittimamente proprietà private predisponendone pure espropri.

Il Comune infatti ha indetto e svolto tra dicembre 2022 e febbraio 2023 anche la gara d’appalto europea per la realizzazione dell’opera, senza attendere la conferma della disponibilità reale del finanziamento europeo dichiarata nel bando, e senza avere ancora né la proprietà delle aree esterne al c.d. “porto vecchio” per la posa dei piloni, né le autorizzazioni paesaggistiche ed ambientali necessarie, né le varianti al piano regolatore.

Alla gara d’appalto hanno partecipato due gruppi di imprese specializzate, uno austriaco ed uno guidato dalla sudtirolese Leitner S.p.A., che in marzo è stata proclamata vincitrice ed ha ora diritto a pretendere dal Comune di eseguire l’opera dopo la conclusione delle procedure rimaste in sospeso.

Ma non ci saranno nemmeno i fondi europei necessari. Come infatti prevedibile, l’11 settembre corrente il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti italiano ha comunicato ufficialmente al Comune di Trieste che «L’intervento della cabinovia non può avere accesso alle risorse del PNRR».

 

E secondo il dossier d’indagine della I.P.R. F.T.T. vi sono tutti i motivi per cui lo stesso accada anche per gli altri due progetti del Comune, anch’essi assurdi: una “Cittadella dello Sport” da 4,7 milioni di euro sul terrapieno inquinato, ed un “Viale Monumentale Porto Vecchio” da 22,8 milioni.

A questo punto si apre un nuovo problema, rilevantissimo, che può avere anche aspetti paradossali.

L’Amministrazione comunale Dipiazza ha coinvolto deliberatamente in progetti ed opere illegittimi nel “porto vecchio” i terzi di presumibile buona fede (imprese, professionisti, finanziatori, banche, enti pubblici e privati) simulando che il Comune ne abbia la proprietà immobiliare piena ed incondizionata, ma la frode è ormai scoperta e non potrà continuare impunemente.

Questo significa che quei terzi coinvolti, come la stessa Leitner S.p.A., potrebbero chiedere ed ottenere giudizialmente dal Comune il risarcimento dei danni subìti per l’inganno, che graverebbero per milioni di euro sui bilanci comunali, cioè a peso dei cittadini, in aggiunta al danno erariale dei milioni di euro che l’Amministrazione Dipiazza ha già speso per le opere illegittime nel c.d. “porto vecchio”.

Quei milioni di euro dissipati per occupare il presunto “porto vecchio” sono sostanzialmente sottratti agli obblighi di spesa primari del Comune, come quelli per le necessità sempre maggiori di assistenza sociale a persone e famiglie in una città dove disoccupazione e miseria sono in crescita costante.

La responsabilità diretta delle opere illegittime e delle relative spese perciò in danno erariale appartiene al Sindaco, agli assessori, ai consiglieri comunali ed ai funzionari dirigenti del Comune che le hanno decise ed attuate nell’esercizio delle loro funzioni, così avallando anche la simulazione di proprietà piena ed incondizionata sulla quale si fondano gli atti relativi.

Ma tra le azioni legali della I.P.R. F.T.T. vi sono anche le diffide di denuncia della frode notificate sia a quei pubblici ufficiali responsabili, sia alle imprese coinvolte, con l’invito a cessare le violazioni di legge, esattamente segnalate, ed a farle verificare dai loro legali di fiducia.

Poiché nessuno dei diffidati pubblici e privati ha reagito, quelle diffide notificate dalla I.P.R. F.T.T. sono divenute prove documentali di colpa o dolo a carico dei responsabili comunali, ma anche prove del fatto che quelle imprese non potranno chiedere ed ottenere risarcimenti milionari dalle casse del Comune dichiarandosi terzi di buona fede ignari della frode.

Il paradosso sta dunque nel  fatto che dalle tenaci e competenti difese legali della I.P.R. F.T.T. dipenda non solo la salvezza del Porto Franco Nord, ma anche quella dei bilanci del Comune già saccheggiati dall’Amministrazione Dipiazza per le opere illegali con cui tenta di occuparlo.

E questa situazione non è alleviata, ma ulteriormente aggravata, dalla nuova pretesa del Sindaco Dipiazza di imporre l’urbanizzazione illegale del c.d. “porto vecchio” in blocco, attraverso un’operazione in project financing da 600 milioni di euro e 10 anni di cantieri con un unico partner, il gruppo Costim, che se ne assumerebbe anche i rischi economici d’impresa.

Mentre è evidente che nessun piano economico di investimenti e ricavi dall’urbanizzazione di un’area di Porto Franco internazionale può essere paragonato alla proporzione tra gli investimenti e gli enormi ricavi della sua riattivazione, per avviare la quale è sufficiente prendere doverosamente atto dell’ineseguibilità giuridica delle norme specifiche della Legge 190/2014 così come modificate nel 2017.

Tenendo anche conto che il titolo di proprietà dei beni intavolato fittiziamente sul Libro Fondiario di Trieste è anch’esso ineseguibile poiché le norme del Trattato di Pace che stabiliscono la proprietà dell’ente di Stato (State corporation) denominato Porto Franco internazionale di Trieste e dei suoi due punti franchi permanenti in capo al Free Territory of Trieste hanno prevalenza anche su tutte le disposizioni della Legge Tavolare e del codice civile in materia di proprietà.

Vi sono inoltre prove evidenti che l’operazione a partner unico era stata predisposta da tempo, anche se è stata annunciata appena nel luglio 2024 ed il Sindaco Dipiazza e la sua Giunta pretendono, con la loro solita arroganza, che il Consiglio comunale la approvi senza nemmeno avere i documenti ed i tempi necessari per valutarla seriamente.

Ma la prima cosa da chiarire è anche quella essenziale, e semplicissima: basta verificare se l’Amministrazione comunale del Sindaco Dipiazza abbia nascosto anche al gruppo Costim che il Comune di Trieste non ha affatto la libera disponibilità di quei beni, e che per questo motivo l’intera operazione sarebbe illegittima.

Nessun investitore normale affronterebbe infatti i rischi abnormi conseguenti, e se lo facesse lascerebbe supporre che gli scopi reali dell’operazione possano essere anche molto diversi da quelli dichiarati.

Nel dossier ora desecretato dalla I.P.R. F.T.T. l’Agenzia indagante rimarca a questo proposito, e non per caso, che «Tutte le attività di violazione del regime di Porto Franco internazionale di Trieste e di occupazione illegittima dei suoi punti franchi permanenti richiedono particolare vigilanza, perché possono avere lo scopo o l’effetto di creare posizioni dominanti a favore di imprese o di Stati pericolosi per gli equilibri strategici euro-atlantici, come nel caso degli accordi del 2019 su Trieste tra il Governo italiano amministratore e la Repubblica Popolare Cinese. Accordi che quest’Agenzia ha perciò impugnato in giudizio nella causa civile n. 5209/2023 avanti il Tribunale di Trieste, tuttora in corso con l’intervento di 238 cittadini ed imprese di Trieste e di altri Stati.» (si veda l’atto di citazione: LINK).

Ci si consenta infine di osservare che di fronte ad un groviglio di pubbliche illegalità e responsabilità locali così ampio ed inestricabile la soluzione più ragionevole e di effetto interruttivo immediato è quella gordiana costituita dal commissariamento degli enti coinvolti; che rientra nei poteri e doveri  costituzionali del Governo italiano, così come precisati dall’art. 120 secondo comma Cost.:

«Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria […] prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. […]»

 

L’esercizio tempestivo dei poteri sostitutivi del Governo è infatti il presupposto anche per l’efficacia dei successivi atti di indagine e per i normali provvedimenti di sostituzione dei funzionari pubblici coinvolti negli illeciti, che in questo caso potrebbero anche dare motivo ad un’ispezione internazionale a tutela dei diritti di tutti gli Stati e delle loro imprese sul Porto Franco internazionale di Trieste.

La lettura attenta del dossier d’indagine riservato ora desecretato dalla I.P.R. F.T.T. può essere quindi per tutti gli interessati alle sorti di Trieste, ed allo stesso Governo amministratore una fonte sistematica preziosa di informazioni di intelligence che non si possono ricavare dalle fonti politiche e di stampa superficiali o compromesse.

Ecco dunque il dossier completo degli allegati (LINK). Buona lettura.

, , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , ,

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *